LA CORTE D'APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale a carico di Riggi Fernando Antonio nato a Sora il 23 settembre 1956 e Martini Ezio nato a Isola del Liri il 2 settembre 1956. 1. - Con rapporto in data 27 maggio 1983 la squadra mobile della questura di Frosinone riferiva alla procura della Repubblica di Cassino che nel corso di una perquisizione operata nell'abitazione di Riggi Fernando Antonio, sita in Sora, era stata rinvenuta una pistola Beretta cal. 22, matricola B 31331U, la cui detenzione era stata regolarmente denunciata da tale Martini Ezio, residente in Isola Liri. Nel corso delle indagini successivamente svolte era emerso che il Riggi, volendo effettuare un viaggio in Sicilia nei giorni di Pasqua del 1983, aveva pensato di portare con se' un'arma per difesa personale ed, essendone sprovvisto, l'aveva richiesta in prestito all'amico Martini che non aveva avuto difficolta' a consegnargliela. L'arma era poi rimasta in casa del Riggi, per pura dimenticanza, fino al momento della cennata perquisizione. A seguito di cio', venivano contestati ai due prevenuti i seguenti reati: al Riggi: a) ricezione in comodato dell'arma (art. 22 della legge n. 110/1975); b) illecita detenzione della stessa arma (artt. 10 e 14 della legge n. 497/1974); al Martini: a) dazione in comodato dell'arma (art. 22 sopra menzionato); b) illecito porto della stessa arma fuori della propria abitazione (artt. 12 e 14 della lege n. 497/1974). Il tribunale di Cassino, con sentenza del 2 giugno 1983, atteso che entrambi gli imputati avevano ammesso gli addebiti loro ascritti, li condannava alla pena complessiva di un anno cinque mesi di reclusione e L. 160.000 di multa ciascuno. Avverso tale decisione interponevano rituale gravame entrambi i prevenuti proponendo vari motivi e chiedendo - tra l'altro - che fosse loro concessa l'attenuante prevista dall'art. 5 della legge n. 895/1967 che consente di ridurre sensibilmente la pena quando "il fatto debba ritenersi di lieve entita'". All'odierno dibattimento di appello il difensore degli imputati insisteva nel chiedere l'accoglimento dei motivi di gravame facendo altresi' rilevare che la invocata concessione della attenuante dianzi specificata avrebbe comportato l'estinzione di tutti i reati contestati ai prevenuti per effetto dell'amnistia emanata con il d.P.R. 12 aprile 1990, n. 75; ove la Corte avesse ritenuto di doversi uniformare al contrario e dominante indirizzo giurisprudenziale formatosi - in subiecta materia - presso la Corte di cassazione, lo stesso difensore sollevava, allora, questione di illegittimita' costituzionale degli artt. 5 della legge n. 895/1967, 22 della legge n. 110/1975, 1, primo comma, lett. d), del d.P.R. n. 75/1990, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Il proc.re gen.le concludeva, dal canto suo, rilevando che il sospetto di incostituzionalita' prospettato dalla difesa degli appellanti nei confronti delle norme sopra richiamate non era destituito di fondamento. 2. - Ad avviso della Corte, la corrente interpretazione delle norme contenute negli artt. 5 della legge n. 895/1967 e 22 della legge n. 110/1975 non consentirebbe di accordare agli appellanti l'attenuante prevista dalla prima delle disposizioni or ora richiamate, dal che conseguirebbe l'effetto di dover ritenere inoperante il piu' recente provvedimento di amnistia posto che - per l'art. 1, primo comma, lett. d), del d.P.R. n. 75/1990 - detto provvedimento di clemenza puo' ritenersi applicabile solo quando, per i reati previsti dalle leggi vigenti in materia di controllo delle armi, ricorra l'attenuante di cui all'art. 5 della legge n. 895/1967. La premessa che precede trae fondamento dalla ormai consolidata giurisprudenza della suprema Corte che, fin dalla sentenza della prima sez. pen. n. 2061 del 22 ottobre 1982 (ric. Senatore, dep. 17 marzo 1983), ha precisato - con esaustiva motivazione - che l'attenuante prevista dall'art. 5 della legge 2 ottobre 1967, n. 895, riguarda solo i reati contemplati nei primi quattro articoli della legge medesima e non puo' essere estesa ai delitti sanzionati dalla legge 18 aprile 1975, n. 110. Da tale postulato deriva che non puo' neppure essere concessa l'amnistia di cui al d.P.R. n. 75/1990 a coloro i quali si siano resi responsabili del delitto di comodato di armi p. e p. dall'art. 22 della legge n. 110/1975: ma, in cotal guisa, si realizza una evidente e macroscopica disparita' di trattamento tra i venditori delle armi e coloro i quali le concedono in comodato, posto che soltanto ai primi (e non anche ai secondi) e' possibile riconoscere non solo l'attenuante in discorso ma anche il diritto ad usufruire del cennato provvedimento di clemenza. Ne' e' dato comprendere il motivo ispiratore di tale irrazionale disparita' di trattamento dal momento che nella vendita di un'arma possono intravedersi gli estremi di un fatto non meno preoccupante del momentaneo prestito di un identico ordigno. L'evidente ed incogrua diversita' del regime sanzionatorio derivante dalla ritenuta inapplicabilita' della piu' volte ricordata attenuante e la conseguente disparita' di trattamento che se ne trae sotto il profilo della diseguale applicazione della piu' recente amnistia nei confronti di soggetti resisi responsabili di crimini sostanzialmente comparabili tra loro (attesa l'eguale gravita' dei fatti delittuosi in esame ed il pari allarme sociale dai medesimi suscitato) induce questa Corte a ritenere non manifestamente infondato il sospetto di incostituzionalita' - per contrasto con l'art. 3 della Costituzione - del combinato disposto degli artt. 5 della legge n. 895/1967, 22 della legge n. 110/1975 e 1, primo comma, lett. d), del d.P.R. n. 75/1990 nella parte in cui le norme anzidette non consentono di accordare la diminuzione di pena prevista dal citato art. 5 ai responsabili del reato p. e p. dal menzionato art. 22, nonche' nella parte in cui non consentono di concedere a questi ultimi l'amnistia di cui al d.P.R. n. 75/1990. Alla stregua delle considerazioni che precedono, la Corte e' tenuta - attesa la indiscussa rilevanza, ai fini della emananda decisione, della cennata questione di illegittimita' costituzionale - a disporre la sospensione del giudizio nei confronti degli attuali appellanti ed a provvedere ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.